DIRIGENTI DECADUTI: CHE COSA RIMANE ?

A seguito di una serie di sentenze della Cassazione pronunciate nel 2015 (18448; 22800; 22803 e 22810), la “questione” dei dirigenti decaduti, a prima vista, ha avuto un epilogo favorevole all’Agenzia delle Entrate.
La Cassazione, prima affermando che l’eccezione di nullità doveva essere proposta nel ricorso introduttivo in primo grado, poi affermando che la sottoscrizione degli atti poteva essere effettuata dal “capo dell’Ufficio” (art.42 D.P.R. 600/73) anche non in possesso di nomina dirigenziale, sembrava avere messo fine agli effetti della Sentenza 37/2015 della Consulta.
Anche se la Cassazione ha “deviato” l’attenzione sulla validità della delega rilasciata dal capo dell’Ufficio, restano aperti due aspetti di grande importanza: la conformità costituzionale dell’interpretazione data dalla Cassazione all’art.42 del D.P.R. 600/73 e la nomina dei messi speciali dell’Agenzia delle Entrate.
Il primo aspetto riguarda l’art.97, commi 2 e 3, della Costituzione, sotto i profili dell’imparzialità, delle attribuzioni e delle responsabilità proprie dei funzionari, e, sotto un aspetto, l’art.3 Cost.
Mentre la giurisprudenza di merito, CTP e CTR, si è divisa, dando oggi origine a sentenze contrapposte, basate sull’accettazione di quanto detto dalla Cassazione ovvero sul fatto che il capo dell’Ufficio sia destinato solo ad un dirigente in base all’ordinamento amministrativo (art.4, comma 2, D. Lgs. 165/2001), nessuno si è curato di controllare la conformità costituzionale dell’interpretazione fornita dalla Cassazione.
Il Gruppo COMBAS è autonomamente arrivato alla conclusione che il “capo dell’Ufficio”, a cui fanno riferimento una serie di norme tributarie (D.P.R. 600/73; D.P.R. 602/73- titolare dell’Ufficio; etc.), sia da individuarsi nel dirigente nominato a seguito di concorso e non da altra figura.
Tale interpretazione deriva, in primis, dall’art.97 Cost., che pone come principio dell’azione amministrativa quello di imparzialità. La trasposizione legislativa di questo principio si rinviene nell’art.17, comma 1, lett. d) del D. Lgs. 165/2001, che, nel definire i compiti dei Dirigenti di seconda fascia, recita: “dirigono, coordinano e controllano l’attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia”. Il controllo che deve esercitare il dirigente di seconda fascia va dunque individuato, prima di tutto, in un controllo attivo ed effettivo di conformità ai principi costituzionali dell’operato dell’Ufficio e dei suoi funzionari, poi di conformità alla normativa e alla prassi amministrativa. In nessun’altra parte dell’ordinamento amministrativo tali funzioni vengono affidate ad altro soggetto. A tutti gli effetti la funzione di “controllo” è riservata alla sola figura dirigenziale: nessun’altro può esercitarla e non è nemmeno delegabile a funzionari, anche di ambito dirigenziale, perché espressamente non esercitabile da chi non in possesso di qualifica dirigenziale di seconda fascia. Coniugando quanto detto dall’art.4, comma 2, del D. Lgs. 165/2001, ossia che “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi…” con le funzioni di controllo ad essi riservate ex art. 17, si ricava una chiara volontà del legislatore di porre il dirigente a tutela delle garanzie dei cittadini (vedi Consulta 37/2015) per gli atti degli Uffici, con una funzione insostituibile e indelegabile. In tale senso vanno viste le norme, restrittive, sulla vacanza degli incarichi dirigenziali che possono essere ricoperti solo per brevi periodi (sei mesi), rinnovabili solo in casi ristretti ed eccezionali.
Da tutto ciò deriva il fatto che a capo dell’Ufficio possa solo esservi un dirigente nominato a seguito di concorso. In caso contrario chi sia a capo dell’Ufficio non ha le attribuzioni per esercitare il controllo: ciò significherebbe avere un controllo effettivo solo negli Uffici sottoposti ad un dirigente e non negli altri. Ciò è in aperto contrasto sia con l’art. 97 Cost. sia con l’art.3 Cost. perché i cittadini, a seconda di dove risiedano, godrebbero o non godrebbero delle garanzie costituzionali in materia di pubblica amministrazione, cosa intollerabile e costituzionalmente illegittima, con un’ingiustificata discriminazione.
In sede di contenzioso andrebbe dunque sollevata, con apposita istanza di remissione, eccezione d’incostituzionalità dell’art. 42 del D.P.R. 600/73 (nonché dell’art. 12, D.P.R. 602/73) sia ex art. 97 sia ex art. 3 Cost.
Altro aspetto è quello della nomina dei messi speciali. Il D.P.R. 600/73, all’art.60, dà facoltà all’Amministrazione finanziaria di notificare gli atti tramite il messo speciale. Il messo speciale, ex art.60 sarebbe “autorizzato” dall’Ufficio. Tale verbo è impropriamente utilizzato dalla norma dal momento che l’autorizzazione non ha effetto costitutivo, non crea quindi diritti o poteri nuovi in capo al destinatario, ma legittima solo diritti o potestà già presenti nella sfera del soggetto. Nel caso di un soggetto notificatore, la funzione certificativa, stante la sua importanza, è costituita in capo al soggetto o in base ad un concorso pubblico (nel caso degli ufficiali giudiziari) o da una nomina dirigenziale (messo comunale): non è quindi ammissibile ipotizzare la preesistenza di tali prerogative di pubblico ufficiale in capo ad un funzionario qualunque. L’unico mezzo per attribuire al messo speciale le sue funzioni di pubblico ufficiale è quindi la nomina, avente effetto costitutivo, che, stante il silenzio del D.P.R. 600/73, va analogicamente individuata in una nomina effettuata da un dirigente nominato a seguito di concorso, l’unico che possa costitutivamente attribuire la qualifica di pubblico ufficiale ad un funzionario senza l’espletamento di un apposito concorso.
Quanto sopra comporta che la nomina del messo speciale dell’Agenzia delle Entrate, effettuata dal capo dell’Ufficio sprovvisto di nomina per pubblico concorso, sia invalida e che il “messo speciale”, così nominato, non abbia assunto la qualifica di pubblico ufficiale, ricadendo nel caso del c.d. “messo apparente”, figura in merito alla quale la giurisprudenza, concordemente, non attribuisce nessun valore certificatorio con conseguenza dell’inesistenza della notifica.
L’inesistenza della notifica, rilevabile d’Ufficio in ogni ordine e grado di giudizio, comporta, in automatico, l’inesistenza dell’atto.
Di conseguenza, per tutti gli avvisi di accertamento o gli altri atti dell’Amministrazione finanziaria, la notifica fatta da un messo speciale nominato da un capo dell’Ufficio non nominato per concorso vizia insanabilmente di inesistenza la notifica, vizio rilevabile d’Ufficio.
Come già detto da un nostro esponente a Radio 24 nel 2015, questa eccezione, che sfrutta una giurisprudenza favorevole e consolidata della Cassazione in materia di notifiche, è ancora più
potente di quella del difetto di attribuzione a cui, comunque, la Cassazione ha trovato un rimedio.

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