RICORSO CONTRO AVVISO BONARIO

Nonostante il parere contrario dell’Agenzia delle Entrate, che allo sportello ci continua a ripetere che l’avviso bonario non è impugnabile, l’ avviso bonario può essere oggetto di ricorso entro 60 giorni dalla ricezione.

L’Ordinanza 15957/2015 della Sez.VI della Corte di Cassazione ne è la conferma: in essa, accogliendosi la tesi dell’impugnabilità dell’avviso bonario, ex art.36-ter DPR 600/73, viene affermato, come principio consolidato che:

  • Gli avvisi bonari sono qualificabili quali avvisi di accertamento o di liquidazione, già a partire dalla Sentenza SS.UU. 16293/2007;
  • Che sono impugnabili gli avvisi bonari, sia ex art.36 bis sia ex art.36 ter DPR 600/1973.

La giurisprudenza successiva al 2007 ha sancito più volte l’impugnabilità degli avvisi bonari in base a sentenze SS.UU. (Cass. nn. 10987/2011; 7344/2012; 17010/2012; 25297/2014; 15029/2015; 15957/2015 et 3315/2016), creando un orientamento giurisprudenziale ben consolidato. In particolare, tra le argomentazioni di tali Ordinanze che hanno creato orientamento giurisprudenziale consolidato, emesse dalla Sezione VI – Stralcio – ove vengono trattati i ricorsi manifestamente fondati/infondati, troviamo:

  • 15957/2015: Questa corte ha infatti più volte affermato, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n.16293/07, che, in tema di contenzioso tributario, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art.19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, …, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione o della Commissione competente. Sotto altro aspetto, si è chiarito (sent. nn.17010/2012; 10987/2011; e 25297/2014) che l’indicazione degli atti impugnabili contenuta nell’art.19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n.546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare altri atti, ove con gli stessi l’amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt.24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art.97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato dalla legge 28 dicembre 2001, n.448…. Deve quindi concludersi che l’avviso bonario di cui al quarto comma dell’art.36-ter DPR600/73 è autonomamente impugnabile”.

Tale ordinanza 15957/2015 ha chiaramente affermato che l’avviso bonario ex art. 36-ter è autonomamente impugnabile perché, a tutti gli effetti, è un avviso di accertamento (non esecutivo), contenendo sia il quantum preteso sia le motivazioni di fatto e di diritto.

  • 3315/2016: “…ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione di irregolarità, ex art. 36 bis, terzo comma, del DPR 29 settembre 1973, n.600…”. Oltre a ciò la stessa Ordinanza chiaramente afferma: “Si tratta di un orientamento che si inscrive in un consolidato indirizzo, secondo il quale…devono ritenersi impugnabili gli avvisi bonari con cui l’Amministrazione chiede il pagamento di un tributo in quanto essi, …, esplicitano comunque le ragioni fattuali e giuridiche di una ben determinata pretesa tributaria, ingenerando così nel contribuente l’interesse a chiarire subito la sua posizione con una pronuncia dagli effetti non più modificabili – Cass. n. 10987/2011”.

L’Ordinanza ora citata ribadisce l’impugnabilità degli avvisi bonari, sottolineando che tale fatto costituisce un orientamento consolidato.

  • 15029/2015: “Secondo un indirizzo ormai consolidato, in tema di contenzioso tributario l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art.19 del D. Lgs. N.546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo… per effetto di simile estensione è riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso gli atti tributari adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria”. “In sostanza, rientra nel novero dei provvedimenti impugnabili l’atto con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione … si concluda … con un invito bonario a versare quanto dovuto”.

Oltre a ribadire quanto già sopra esposto, la Cassazione ha chiaramente affermato che per tali tipi di atti, il ricorso immediato è una facoltà e non un obbligo, esercitabile a libera scelta del contribuente, rimanendo quindi sempre esperibile il ricorso avverso la Cartella di pagamento se non proposto contro l’atto atipico (avviso bonario).

  • 25297/2014: ha visto rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che chiedeva che la Corte dichiarasse inammissibile l’impugnazione di un avviso bonario. L’Ufficio prospettava la violazione dell’art.19 D. Lgs. 546/92 perché, non rientrando l’avviso bonario nel novero degli atti indicati dall’art.19, non poteva ritenersi ricorribile. La Cassazione nelle motivazioni ha affermato: “… i principi costituzionali di buon andamento della p.a. (art.97 Cost.) e di tutela del contribuente (artt. 24 ne 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla norma richiamata… Ne consegue che anche la comunicazione di irregolarità ex art.36 bis, comma 3, DPR 600 del 1973, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario…”. “A tali principi si è uniformato il giudice di appello. Il ricorso va dunque rigettato”.

L’Ordinanza ora citata ribadisce quanto già esposto. Non solo. Chiaramente ha affermato che le motivazioni contrarie a tale orientamento vanno disattese: la conformazione dei giudici della CTP a tali principi rende la sentenza di primo grado non riformabile sotto questo punto di vista.

Quando conviene ricorrere contro gli avvisi bonari?

Quando si parla di somme che, già con il passaggio a ruolo, potrebbero causare una crisi di liquidità o una crisi aziendale o, sulla base del nuovo decreto legislativo sulla crisi d’impresa, potrebbero portare all’avvio della procedura di allerta.

L’effetto numerico è semplice: se vi è il passaggio a ruolo dell’avviso bonario (non opposto oppure per non accoglimento delle osservazioni nei 30 gg.), la somma iscrivibile in cartella è pari al 100% dell’imposta oltre alle sanzioni. Con il ricorso può invece essere iscritto a ruolo prima del primo grado solo 1/3 dell’imposta e i 2/3 di imposta e sanzioni dopo sentenza sfavorevole in CTP.

Nel caso di grossi importi, l’opportunità dell’impugnazione risulta quindi essere di fondamentale importanza: spetta al professionista la scelta, nel quadro della migliore tutela del cliente.

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